Self portrait

Dora Bassi ha scritto molto sul suo percorso artistico, i brani che riportiamo sono tratti da cataloghi, interviste e appunti autobiografici.

Del dipingere: il colore espressivo

L’adesione al neorealismo era un’occasione di lavorare in gruppo su di un tema preciso: la funzione dell’arte, i suoi rapporti con l’uomo, il reale, la sua potenza rappresentativa. Il movente politico, che per alcuni artisti era predominante, mi coinvolgeva di meno. Più che i fini mi affascinavano i possibili percorsi, pertanto le mie opere nell’ambito del neorealismo friulano somigliano di più a una cronaca asciutta… Sul piano del linguaggio però subentrò qualcosa che non mi lasciò più: il viraggio del colore “bello” in colore espressivo.
I quadri che ho dipinto dal ’52 al 56 furono la premessa per un’altra preziosa esperienza, quella dell’informale. Non fu tanto l’indebolimento della pressione ideologica a togliermi dal neorealismo quanto l’ acquisizione di una materia pittorica densa, consistente di tale spessore da ricevere segni, ferite, vibrazioni…
(Da materia a memoria, in Dora Bassi, Comune di Gorizia, 1997)

Vedi le opere nelle sezioni “Paesaggi con figura” e “Astrazione”

Materia, forma, spazio

A Udine, nel mio studio, facevo l’artigiana ceramista, il tormento dell’arte mi dava tregua… Costruivo strutture con elementi interdipendenti, in cera, in polistirolo e poi quando avevo qualche soldo le facevo fondere a Verona…
Nere. Un nero che si affermava perentoriamente nello spazio… Il mio problema era di dare assolutezza alla forma incastrandola nello spazio.
(Da materia a memoria, cit. 1997)

Vedi le opere nella sezione “Materia e forma”

Massima semplificazione

Ho sperimentato molte tecniche. Le macchine che mettevo insieme erano senz’altro dinamiche e puntavano a simulare traiettorie spaziali in espansione. Questo era un modo di fare scultura comune a molti artisti, anche se astratte le mie forme erano una metafora della realtà del momento, un sogno spaziale.
(da D. Bassi A. Santin, Metafisico quotidiano, Trieste 2004)

… Ciò che maggiormente mi interessava era di condurre la forma alla massima semplificazione ma in modo da vitalizzare con pochi elementi un organismo non statico, in grado di interagire con l’esterno e di ricaricarsi al suo interno.
Per incominciare ho abbandonato i materiali tradizionali come il legno, il bronzo, la terracotta. Mi occorreva qualcosa che riuscisse a determinarsi non come massa ma come elemento ricevente… La lamiera semilucida è perfettamente in grado di attivare la luce e di sintetizzarne gli effetti.
La riflessione così disciplinata produce all’interno della scultura immagini fittizie, illusorie, dall’apparenza tridimensionale.
(Da Note biografiche, Milano 1985)

Vedi le opere nella sezione “Spazio e specularità”

Dalle sculture speculari alle scatole a specchio

Ho ripreso brani di pittura antica, soprattutto del manierismo, li ho imitati, smitizzati e portati a metamorfosi con congegni di rotazione in movimento. L’opera così concepita è destabilizzante. Esprimevo così il mio dubbio rispetto alla funzione dell’arte in sé. Scappavo ogni momento alla pinacoteca di Brera a guardarmi il Mantegna, il Bellini o Piero della Francesca… Quello è stato un periodo forte, esaltante per me. Non ne parlavo con nessuno ed ero orgogliosa di lavorare fuori dalle correnti. La transavanguardia è venuta qualche anno dopo…
(A. Jaconcig, Dialoghi gradiscani, 2007)

Mi congedai dai grandi dell’antico sostituendo la frigida maschera di Eros con quella, assai più alla mano, di Humphrey Bogart, tagliai decisamente la testa a Venere Anadiomene, a Leda, alla Fornarina le cui membra divennero di gomma. Mutilai le sculture. Erano gli inizi degli anni Ottanta e da un pezzo, senza rendermene conto, navigavo nel citazionismo. Qualcosa però mi era entrata nelle ossa: l’infinito presente dell’arte, l’organicità della memoria, la sua perpetua vitalità…”
(da Da materia a memoria, cit. 1997)

Vedi le opere nella sezione “L’immagine e il suo doppio”

L’antico demone

… come scultrice mi stavo guadagnando un certo credito… ma mi riprese l’antico demone dell’insoddisfazione, dell’irrequietezza. Ciò che facevo mi pareva un continuo tradimento alle vitali ragioni che mi avevano messa a questo mondo. Esse stavano altrove, nel profondo nucleo che stava dentro di me…
(da D. Bassi, L’eterno trasloco, Lapis, Percorsi della riflessione femminile, n.12, giugno 1991)

Quel cannocchiale che mi era servito per osservare la storia dell’arte e poi per mettere in forma d’arte le mie riflessioni lo stavo puntando su di me. Direi che era venuto il tempo di riattivare nel mio fare arte i collegamenti tra la speculazione intellettuale e il mio mondo affettivo. Mi sentivo sufficientemente attrezzata per farlo, ma avevo perplessità sul linguaggio. La scultura era da escludere, le installazioni che in quel tempo erano espressione abituale mi apparivano inadeguate a quello che volevo esprimere. La pittura… sentivo che il mezzo era quello. La pittura tradizionale nei vari momenti del suo percorso senza limitazioni stilistiche! Tutta la pittura, usata come strumento di indagine dentro me stessa.”
(da La luce nell’ipotesi estetica di Dora Bassi, Udine 2001)

Vedi le opere nella sezione “Tempo e memoria”

Nei sotterranei del Museo di storia Ebraica di Amsterdam ebbi un incontro abbagliante con Charlotte Salomon, una giovane artista morta in un lager nazista. Più di mille tavole a tempera su carta in cui con grafia penetrante e leggera dava immagine alla storia della sua vita: uno scavo nella memoria usando senza pregiudizi linguaggi che la storia dell’arte contemporanea metteva a sua disposizione. Non avevo mai visto niente di simile…. Tornai al mio monolocale di Sesto decisa a intraprendere il lungo viaggio che mi avrebbe portata a mia madre, a mio padre, ai giardini della mia infanzia e ancora mi venivano in mente con insistenza le parole di Dino Basaldella “Quando un artista entra in crisi deve uscire da quello che sta facendo e soprattutto deve maneggiare altre materie, cambiare strumenti”
(Da materia a memoria, Cividale 1997)

Vedi le opere nella sezione “Tempo e memoria”

Raccontare con quattro tonalità di azzurri

Noi non discendiamo, ma affioriamo dalle nostre storie se la memoria, metafora viva nell’opera d’arte, ci apre al presente vivo… la memoria ti restituisce le cose trasfigurate e io comincio a pensare a una memoria metafisica ad una energia dell’enigma che si fa immagine. Per questo ho dovuto cercarmi una tecnica che potesse essere vicina ai significati che per me hanno le cose della vita… ho cominciato a ri-guardare la realtà, da pittrice, scegliendo nella infinita gamma dei colori, preoccupandomi di mostrare l’energia luminosa dell’immagine rivissuta…
(da Metafisico quotidiano, Trieste 2004)

Vedi le opere nelle sezioni “Tempo e memoria” e “Infanzia”

Il colore della sera

Il mio appartamento ha due file di finestre parallele disposte a nord-est e a sud-ovest. Il sole compie giornalmente il suo tragitto, animando con i suoi riflessi oggetti e pareti,… Dunque dovevo osservare e imparare dal sole.nascondere, rievocare, sciogliere, ricompattare… Racconti semplici, verificabili nella mia vita di ogni giorno: le stanze, le finestre, una tenda che si agita per un soffio d’aria. Gli occhiali dallo sguardo presbite perso nel vuoto… lavoro sul minimo e per sottrazione, gli oggetti, le situazioni messe in scena hanno la consistenza delle cose pensate che sono più forti di quelle conosciute. Cerco di trasmettere ciò che sento profondamente, il mistero dell’esistere. Lavoro molto la materia. La profondità, nei pezzi migliori, proviene dalle trasparenze e dalle vibrazioni della pittura. Ho abbandonato la credenza che l’arte sia un processo. Per quanto mi riguarda l’arte è semplicemente l’opera.
(da D. Bassi, A. Santin, Il tempo, l’età, l’opera d’arte, 2000; Metafisico quotidiano, cit. 2004)

Vedi le opere nella sezione “Il colore della sera”

Il diritto di chiamarmi artista

Ora, proprio ora, malferma, stizzita col mio corpo traditore, indifferente allo scorrere del tempo, in solitudine e nella libertà di mente che solo la vecchiaia, una buona vecchiaia può regalare, sto ancora sperando nell’opera perfetta che imponga finalmente alla mia coscienza il diritto di chiamarmi artista.
(D. Bassi, A. Santin in Metafisico quotidiano, Trieste 2004)

Come artista e con i limiti di talento che ho a disposizione credo di esprimere rispetto per la vita, per l’immagine dell’uomo, per la generosità della natura. Io non provoco, ne contesto ne irrido. Non strazio ne deformo. Cerco di capire le voci del vivere nelle sue inflessioni più flebili. Lo faccio dipingendo… usando la tecnica della velatura a secco e a ritmo lento.
(A. Jaconcigh, Dialoghi gradiscani, cit. 2007)

Vedi le opere nelle sezioni “Altair” e “La leggenda d’oro”